Nido, nonni o baby sitter?
Scelte per una genitorialità serena attraverso un breve viaggio tra letteratura e esperienze di vita.
I mesi della maternità passano alla velocità della luce e il rientro alla vita “normale” e alla routine del lavoro arriva presto e…spaventa.
E’ il momento per il genitore di affrontare il distacco dal bambino.
Questa parola contiene in sé angoscia, ansia, dubbi, timori, perplessità, quesiti e probabilmente sensi di colpa che pervadono i genitori nel momento in cui, finita la parentesi del congedo di maternità, la realtà si riaffaccia e torna un po’ brutalmente in primo piano con un'unica domanda: e ora che devo rientrare al lavoro, a chi lo lascio mio figlio?
Ecco quindi le opzioni: nido, nonni, o babysitter?
E per ognuna di queste strade si spalanca all’improvviso un elenco quasi infinito di valutazioni, di pro e contro più o meno razionali e più o meno pertinenti:
- al nido mi si ammalano di più però possono socializzare con altri bimbi e sono seguiti in modo professionale…
- con la nonna è una gran comodità anche economica ma se poi diventa una figura sostitutiva e me lo vizia troppo?...
- la babysitter ha un costo elevato ma sarebbe a mia completa disposizione con orari e altro..
E così via il foglio delle scelte si riempie di un lungo elenco di pro e di contro per ogni strada vagliata, lasciando però alla fine poche certezze e qualche perplessità di fondo nel momento in cui, presa una decisione, si è anche ben coscienti dei vantaggi delle strade non percorse.
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Cosa scegliere? E poi…c’è davvero una scelta migliore di un’altra?
Con la premessa che poter scegliere tra queste soluzioni è già di per se una grandissima fortuna che non tutti hanno, spostare l’attenzione dal genitore al bambino, ad esempio, potrebbe essere un sistema utile per uscire dall’impasse e percorrere con serenità una delle strade ipotizzate.
Ad esempio è bene non dimenticare che il bambino è un attore attivo e non passivo nella relazione ed è quindi perfettamente in grado di distinguere le attenzioni della mamma da quelle della tata, delle educatrici, dei nonni o dei fratelli.
Inoltre, se a tre o sei mesi un bimbo dipende necessariamente dalla figura adulta in quelle che sono le sue esigenze, è però importante valorizzare fin da subito il suo percorso individuale e stimolarlo nelle relazioni e nelle esperienze, perché ogni giorno affronta una nuova sfida della crescita, che avviene tramite gioco e impegno, errori e apprendimento ma soprattutto emozioni, esperienze e persone.
In questa prospettiva, ci può essere una scelta volontaria dei genitori di iscrivere il figlio al nido pur avendo ad esempio la disponibilità dei nonni durante la giornata lavorativa, e questo nella convinzione che il bambino possa trarre beneficio dalle cure esperte di educatrici preparate in un ambiente pensato per lui e dove ha la possibilità di sperimentare il contatto con gli altri bambini e tutta la sua socialità.
L’opzione nido può quindi essere una scelta preferibile, e non perché i nonni o la baby sitter non possano occuparsi al meglio del bimbo piccolo, ma perché nessun adulto può, in ultima istanza, offrirsi come opportunità di confronto e socializzazione quanto possono fare i bimbi tra di loro, così come difficilmente potranno nonni o baby sitter avere le competenze e conoscenze degli educatori che, per svolgere il loro lavoro, seguono una formazione specifica.
La partita, però, non si gioca solo sul piano delle competenze o della formazione, per quanto importanti.
C’è un aspetto che riguarda le implicazioni emotive e che non è affatto secondario. Il coinvolgimento di figure professionali, infatti, consente al bambino di sperimentare un rapporto totalmente diverso da quelli che ha in famiglia, perché è un rapporto che non viene caricato di aspettative da parte dell’adulto familiare ed è quindi per sua natura più costruttivo e privo di tensioni.
Anche grazie alla condivisione degli avvenimenti in gruppo e con i colleghi, un episodio – ad esempio un pianto – è compreso e relativizzato più facilmente dalle figure adulte del nido; gli educatori offrono così alle famiglie un supporto importante, sia in fase di alleggerimento delle problematiche sia anche nella situazione opposta, quando cioè ci sono difficoltà effettive da gestire.
Naturalmente, il beneficio della scelta effettuata dai genitori, qualunque essa sia e soprattutto nel caso del nido, è possibile e concreto solo se i genitori che affidano i propri piccoli alle cure “esterne” riescono a farlo mantenendo una serenità interiore e costruendo un rapporto di fiducia con gli adulti cui è delegata la cura del bambino. Il tempo cioè in cui il bambino è con “estranei” non deve essere vissuto dai genitori come un tempo vuoto e intriso di sensi di colpa per averlo “lasciato” ma anzi come un tempo per lavorare e prendersi cura dei propri spazi di vita adulta, necessari d’altronde a una maternità o una paternità serena.
Nel viaggio che abbiamo fatto tra la letteratura scientifica e le esperienze di vita diretta dei genitori, ringraziamo Bruna mamma di Forlì per aver condiviso con noi la sua testimonianza di mamma premurosa e lavoratrice. Riportiamo qui quanto ci ha raccontato del suo inserimento al nido del piccolo Davide.
"A luglio 2015 è nato Davide, bimbo tanto desiderato di una mamma lavoratrice.
Avendo lavorato fino all’ottavo mese, avevo quattro mesi dopo il parto per godermi il mio pargoletto, prendermene cura quotidianamente, passare tanto tempo con lui e… prepararmi psicologicamente al nido.
E già, il nido… questo “mostro a tre teste” che però per noi era l’unica alternativa ai nonni lontani.
La strada della baby sitter l’avevamo esclusa a priori, per il timore che Davide potesse associare all’ambiente di casa un’altra figura femminile che non fossi io.
Quindi il nido. Abbiamo cominciato l’inserimento il 3 novembre, il 30 io sarei dovuta ritornare al lavoro.
Per Davide è stato facilissimo ambientarsi, per me un po’ meno: per il mio stato mentale, per i mille sensi di colpa, per i pianti in macchina nel parcheggio (l’inserimento era più per me, che per lui). Ma, negli sprazzi di lucidità di questo mio delirio, vedevo Davide sereno e tranquillo. Pian piano mi sono rasserenata anche io e sono arrivata al 30 novembre con uno spirito più rilassato.
Davide adesso ha quasi un anno.
Con il senno di poi posso affermare di aver fatto la scelta giusta. Lo guardiamo e ne abbiamo la conferma. E’ un bambino socievole, curioso, che sa relazionarsi con gli altri bambini e con gli adulti, che sta imparando a seguire delle regole, che mangia di tutto e che porta in casa la sua conoscenza quotidiana.
È un’esperienza molto positiva che mi sento di consigliare a tutti i genitori, perché la relazione tra pari, guidata da educatrici professioniste è fondamentale per lo sviluppo del bambino e, nel nostro caso, è anche un punto di riferimento per un confronto costruttivo.
Il “mostro a tre teste” che era nella mia mente è stato sconfitto!Bruna, mamma di Forlì