Ci sono ormai varie ricerche che in modo diverso e analizzando dati diversi giungono più o meno alle stesse conclusioni: rispetto ai loro coetanei di altri paesi, i ragazzi italiani non conoscono le lingue straniere, viaggiano poco fuori dai confini italiani ed hanno rare esperienze di studio all’estero.
Detto in sintesi, sono meno aperti all’estero rispetto ai loro coetanei europei.
Si potrebbe dire che è colpa della crisi economica, ma la realtà il fatto è che, se si guarda alle loro aspirazioni e sogni (per ora cose gratuite), i giovani italiani sperano di trovare lavoro in Italia, sono molto radicati nel luogo dove vivono e, in generale, vivono il mondo globalizzato più come una minaccia che come un’opportunità.
Quale è problema?
Il problema più diffuso è proprio la (scarsa) conoscenza delle lingue straniere. In Italia, solo il 35% dei giovani sostiene di avere un buon livello di inglese (mentre in Svezia e in Germania sono, rispettivamente, il 77% e il 67% coloro che ritengono di avere un buon livello di inglese).
Con ciò si capisce come mai un numero sempre maggiore di genitori stanno cercando un’offerta formativa più aperta alle lingue straniere per i loro figli, fin dalla più giovane età. Oltre a corsi di lingua, viaggi all’estero e baby sitter straniere, la scelta si focalizza, sempre di più, sulle scuole che offrono una didattica – o parte di essa – in lingua straniera, ossia sulle scuole internazionali e sulle scuole bilingui.
Cosa significa “scuola internazionale” e cosa “scuola bilingue”?
Cominciamo subito con il dire che non esiste una vera e propria definizione normativa e, dunque bisogna basarsi sui programmi didattici offerti.
Una scuola internazionale vera e propria è una scuola che afferisce al sistema di istruzione di un altro paese rispetto a quello ospitante. Potrà essere inglese, americana, francese o tedesca. Potrà essere persino cinese, come la SIIC – Scuola internazionale italo cinese, che sta aprendo a Padova.
La lingua, il metodo didattico e i programmi saranno quelli che afferiscono alla cultura prescelta, secondo le norme e le prassi del paese cui la scuola si riferisce.
In queste scuole, solitamente l’italiano è studiato come una seconda lingua (L2), sia pur tenendo conto del fatto che i bambini crescono in Italia e, spesso, hanno entrambi i genitori italiani.
C’è poi la scuola bilingue. E qui la questione si complica.
Il modello della scuola bilingue è andato affermandosi, negli ultimi anni, nelle grandi città di Italia per rispondere ai bisogni di una conoscenza più approfondita dell’inglese.
La scuola bilingue è una scuola che, di base, segue il programma ministeriale italiano e che è privata, ma può essere anche paritaria (o parificata) ossia – benché privata – essere riconosciuta come equivalente a quella pubblica, come le nostre scuole bilingue di Lucca.
La principale conseguenza di tale “parificazione” è che gli allievi delle scuole paritarie non necessitano di sostenere esami “da privatista” per l’eventuale rientro nella scuola pubblica italiana, come invece accade a quelli delle scuole private non parificate.
La scuola bilingue si autodefinisce tale perché la lingua straniera (solitamente l’inglese) è molto più presente che nella scuola pubblica e perché viene insegnata da docenti madrelingua.
Ma quanto “più presente?”. Mancando una definizione normativa, il mondo delle scuole “bilingui” non è semplice per cui è necessario stare attenti . Alcune scuole si autodefiniscono ‘bilingui’ ma poi offrono solo 4 ore settimanali in più in inglese rispetto ad una scuola pubblica. In quest’ultimo caso, semmai, sarebbe più corretta la dizione “ad inglese rafforzato”. Insomma, 4 ore settimanali in più di inglese non bastano a definire una scuola come “bilingue”.
Insomma bisogna dedicare all’altra lingua e alle materie in lingua quasi lo stesso monte ore di lezione svolte in italiano. Inoltre, ma è quasi scontato dirlo, i docenti devono essere madrelingua (o almeno “near native speakers”) e l’intera lezione deve svolgersi in lingua. Le nostre scuole si avvalgono dell'insegnamento di 2 docenti madrelingua, una inglese ed una americana.
È bene quindi che i genitori interessati a questo tipo di scuola chiedano informazioni dettagliate sulla quantità di ore dI inglese e in inglese per i vari anni e si informino su tutti gli aspetti (ad es. se le insegnanti sono madrelingua, se la scuola è paritaria ecc…)
Modello bilingue:
- le due lingue vengono adoperate nell’insegnamento di tutte le materie scolastiche. Cosicché, un bambino studierà alcune materie (matematica, storia o scienze) sia in inglese che in italiano;
- alcune materie in inglese (ad esempio scienze, arte o tecnologia informatica) e altre in italiano;
- in inglese attività che normalmente sono extracurriculari, come musica, teatro o scrittura creativa. Questo sistema non solo favorisce e sviluppa la capacità di apprendimento di due lingue ma anche l’ampliamento dei propri orizzonti mentali e l’apprezzamento per altre culture.
Il vantaggio di una scuola bilingue, rispetto ad una scuola internazionale, è che vi è meno sradicamento dalla cultura italiana.
Le scuole bilingui hanno rette più contenute di quelle internazionali. Inoltre, se la scuola bilingue è paritaria non ci sono problemi con il trasferimento nella scuola pubblica italiana, in qualsiasi momento esso si rendesse necessario. Considerando il fatto che il bambino avrà acquisito capacità e conoscenze delle varie materie avvalendosi di entrambe le lingue, egli dovrebbe poter integrarsi in un sistema scolastico monolingue senza bisogno di ricorrere a corsi di recupero, né per quanto riguarda la lingua né per quanto riguarda la conoscenza delle specifiche materie.
Poichè quello delle scuole bilingui è un fenomeno nuovo, un errore da non fare è quello di ritenere che siano tutte eguali: ognuna fa storia a sè. Inoltre, poichè attraggono perlopiù famiglie italiane, la conseguenza è che il programma bilingue si inserisce in un contesto monolingue.
“Scuola Bilingue” suona bene, tuttavia è bene tenere presente che: le scuole bilingui non sfornano automaticamente bambini bilingui ma, per arrivare ad un bilinguismo bilanciato, è necessario supportare il bambino in questo cammino con altri strumenti come ad esempio dei summer camp in inglese.
Occorre infine tenere presente che ci sarà una fase ‘silente’: quella in cui la lingua straniera viene vissuta solo passivamente e il genitore ansioso, non vedendo risultati immediati, si chiederà se vale la pena di fare questo investimento in istruzione.
Tranquilli: la lingua straniera, specie se introdotta dopo i 3 anni (o addirittura più tardi) ci mette un po’ a ‘sbocciare’. Non è forse così anche per la prima lingua (ossia la lingua madre)?
Il neonato non vive in un mondo di silenzio ma, sin dalla nascita, vive in un mondo di parole: eppure ci metterà tra i nove mesi e i due anni prima di riuscire a riprodurre (e a produrre) le prime rudimentali parole…quindi l’indicazione per il genitore è quella di dare ai bambini almeno un anno e mezzo di tempo prima di giudicare..