Qualche giorno fa ci siamo imbattuti in questo articolo di Ferdinando Camon, scrittore italiano contemporaneo, sull'importanza di indossare, anche a scuola, una divisa.
Si tratta di un punto di vista che condividiamo e che "pratichiamo": gli studenti del #LIQ sono infatti tenuti ad indossarla.
Ecco di seguito l'articolo di Camon, fonte www.avvenire.it
La lunga, ma tutt’altro che inutile, discussione che si sviluppata, attraverso diversi media e canali, sugli studenti che si presentano a scuola in t-shirt e le studentesse con i jeans strappati sta per esaurirsi. Vorrei aggiungere qualcosa che, se non m’è sfuggito, non è stato detto. E cioè che a scuola ci dev’essere un rapporto, una sintonia, tra chi insegna e chi apprende, tra chi apprende e le cose che apprende.
Anni fa, quando c’era uno degli ultimi governi di destra, per combattere il menefreghismo degli studenti qualcuno propose che prima delle lezioni, nel cortile della scuola, si procedesse all’alzabandiera, col suono dell’inno nazionale. Si era convinti che in questo modo si caricava negli studenti il senso dell’importanza del luogo e delle cose che in quel luogo si trasmettevano da una generazione all’altra, e l’importanza aveva a che fare con la nazione, con i geni, con le vittorie, con gli eroi. Non ne ero molto convinto, perché l’alzabandiera si fa nelle caserme, davanti ai soldati. Lì sì che la storia della nazione e le vittorie hanno un senso che impregna tutto. Ma gli studenti non sono soldati. Quando un ragazzo diventa soldato, impara che la distinzione è fra soldato e borghese. Ebbene, gli studenti sono borghesi, figli della borghesia, eredi della borghesia. L’eredità consiste nella cultura, la tradizione, l’arte, il pensiero, la ricerca, insomma il passato. Sono valori altissimi.
Il professore che legge e spiega ai ragazzi sulla soglia dei vent’anni Dante o Leopardi non può essere in t-shirt, e i ragazzi che l’ascoltano non possono essere in pantaloni corti o jeans sdruciti. Per la stessa ragione per cui, nel dopoguerra, non era decoroso insegnare in aule sbrecciate dai bombardamenti. L’ambiente trasmette un messaggio. I segni delle schegge cancellavano e sostituivano la spiegazione di Paolo e Francesca o di Spinoza. Anche gli infradito, i pantaloni corti e i jeans sdruciti trasmettono un messaggio, che evoca il consumismo, il ludismo, la spiaggia, il drink, la serata con gli amici, il divertimento, e non ha niente a che fare con la scienza, l’arte, la letteratura.
C’è un momento, nel primo anno delle superiori, in cui l’insegnante legge e spiega «Tanto gentile e tanto onesta pare». È la più bella poesia d’amore di tutte le letterature e tutti i secoli. Dante dice che la donna che lui ama, e che nel giorno in cui la rivede aveva 18 anni, quando rivolge il saluto a qualcuno sembra tanto nobile e tanto pura che colui che vien salutato vorrebbe rispondere al saluto, ma la lingua gli trema in bocca, non riesce più ad articolare le parole, diventa muta, e gli occhi vorrebbero fissare per un attimo il fulgore della fanciulla che avanza, ma non riescono, sono costretti a chinarsi verso terra, vergognosi della propria indegnità. Aveva 18 anni Beatrice, hanno 18 anni le studentesse che la sentono oggi. Beatrice, quel giorno, indossava un lungo vestito color rosso fiammante. Chi la sente oggi deve "capirla". E per capirla deve sintonizzarsi, non la può capire se è in pantofole, pantaloni corti e canottiera. Il vestito è un messaggio, e il messaggio trasmesso dagli studenti e dalle studentesse non deve annullare il messaggio trasmesso dall’insegnante, se no tanto vale saltare la lezione. Chi va a lezione, di qualunque materia, anche Chimica, sa che la lezione lo migliorerà, e deve disporsi a ricevere, non rigettare, non danneggiare, non sminuire questo miglioramento.
Scrivo questo articolo in una città dove c’è un’antichissima università nella quale gli studenti di Legge vanno a fare gli esami in giacca e cravatta. Sono esami terrificanti. Ma i licei e gli istituti superiori dove se m’invitano a parlare trovo metà studentesse in jeans strappati, ho l’impressione che le altre son presenti ma queste no. Son rimaste al bar, in piazza, in strada, dagli amici. Non ascoltano, hanno altro per la testa. Che peccato! Leggo, ma a me non è mai capitato, che potresti trovarti di fronte a studenti con gli infradito. Credo che mi bloccherei. La mia reazione sarebbe del tipo: «Io mi metto la cravatta, voi mettetevi almeno le scarpe!».